Romanzi La vegetariana채식주의자

Han Kang   |   한강

본문

  • Titolo
    La vegetariana
  • Autore
    Han Kang
  • Traduttore
    Milena Zemira Ciccimarra
  • Casa Editrice
    Adelphi
  • Anno di pubblicazione
    2016
  • Genere
    Romanzi
«Ho fatto un sogno» dice Yeong-hye, e da quel sogno di sangue e di boschi scuri nasce il suo rifiuto radicale di mangiare, cucinare e servire carne, che la famiglia accoglie dapprima con costernazione e poi con fastidio e rabbia crescenti. È il primo stadio di un distacco in tre atti, un percorso di trascendenza distruttiva che infetta anche coloro che sono vicini alla protagonista, e dalle convenzioni si allarga al desiderio, per abbracciare infine l'ideale di un'estatica dissoluzione nell'indifferenza vegetale. La scrittura cristallina di Han Kang esplora la conturbante bellezza delle forme di rinuncia più estreme, accompagnando il lettore fra i crepacci che si aprono nell'ordinario quando si inceppa il principio di realtà – proprio come avviene nei sogni più pericolosi.

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foderaro님의 댓글

gaiafoderaro 작성일

La vegetariana è un romanzo che non può lasciarci indifferenti. Tipico dello stile di scrittura di Han Kang è accompagnare in ogni suo racconto il lettore per mano, facendolo soffermare su aspetti sempre diversi della natura umana, per poi lasciarlo con delle domande che aprono la via a spunti di riflessione. Nel caso di La Vegetariana, arriviamo ad interrogarci su come possiamo vivere una vita che non sia soggetta alla manipolazione, alla violenza o alla sofferenza. Attraverso la protagonista, Han Kang dà voce al disagio invisibile di molti mettendo in luce la costante lotta per l'autodeterminazione. Nonostante non si tratti di una lettura facile, La vegetariana è un libro che consiglio vivamente perché vi porterà a interrogarvi e guardarvi dentro anche dopo aver riposto il libro sullo scaffale della libreria.

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RAGNO님의 댓글

RAGNOAM 작성일

Amo la scrittura di Han Kang, la sua capacità di scavare nel silenzio e nel dolore, ma La vegetariana è stata per me una lettura difficile. L’ho trovato disturbante e, in certi passaggi, confuso, quasi come se volesse restare indecifrabile. Forse è proprio lì la sua intenzione, ma io non sono riuscita a trovarvi un equilibrio. È uno dei pochi libri che non mi sento di consigliare — non per mancanza di valore, ma perché mi ha lasciato solo spaesamento, senza quella risonanza che cerco in una storia.

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Montani님의 댓글

elisamontani 작성일

“Comincia a sembrarmi tutto insolito, quasi mi fossi accostata al rovescio di qualcosa. Chiusa dietro una porta senza maniglia. Forse solo ora mi ritrovo faccia a faccia con qualcosa che è sempre stato qui. È buio. Tutto si spegne nell’oscurità più nera.”
Recensire un romanzo del genere risulta complicato, quasi una sfida. Dalla prima pagina l’abile penna dell’autrice getta consapevolmente il lettore in un turbinio di situazioni e pensieri, nei quali diventa sempre più difficile destreggiarsi durante il susseguirsi degli eventi. Yeong-hye è una donna senza un’età precisa, collocata in un tempo indefinito, della cui vita racconta il narratore onnisciente attraverso il punto di vista degli altri personaggi. Il romanzo si divide in tre sezioni, costituite da titoli diversi che creano quasi una guida di lettura, nella quale Yeong-hye rappresenta un atipico “filo rosso”. La prima parte viene rinominata “La Vegetariana” e l’inizio ufficiale del romanzo viene dato dal marito della protagonista, il signor Cheong. Di costui viene trasmessa un’immagine prettamente negativa. Un uomo che si è sposato senza sapere realmente il motivo, senza amore e quasi con l’unico scopo di un’assicurazione per la vita. Interessante è vedere come l’immagine di questo personaggio richiami lontanamente la figura dell’inetto nel momento dell’azione, tipica della letteratura italiana novecentesca: un uomo incapace di agire, che pensa sempre al suo bene pur non sapendo effettivamente cosa voglia nella vita. È chiuso in sé stesso e non gli appartiene la volontà di capire o provare empatia nei confronti degli altri. Rimane comunque in lui un briciolo di coscienza che, nonostante riesca a fargli provare un “senso di colpa”, viene prontamente represso e dimenticato. Paradossalmente si potrebbe paragonare ad uno dei tanti passanti che vedono, in fondo comprendono, ma che sono troppo concentrati su loro stessi per prestare effettivamente aiuto e attenzione a chi si trova in difficoltà.
La seconda parte del romanzo, “Macchia Mongolica” è dominata dalla figura del marito della sorella di Yeong-hye. Un uomo senza apparentemente un nome, celato quasi da un velo di mistero. Ha una lampante ossessione nei confronti della protagonista e in un momento sembra l’unico a capirla, ma in fondo rispecchia se non il marito di quest’ultima, quasi una sua ombra. Come il signor Cheong, infatti, si è sposato perché pensava fosse la cosa giusta da fare: motivo insussistente e insufficiente. Ancora più misteriose sono le figure celate dietro questo personaggio, senza nomi, ma solo iniziali, quasi a sottolineare la teatralità del romanzo, il cui scopo non è rappresentare persone, ma bensì problematiche che ad occhio nudo risultano invisibili. È utilizzare un metodo simile a quello di comparse teatrali, risulta forse lo strumento più efficace. In questo modo i personaggi trascendono fino a diventare solo ciò che devono rappresentare.
La terza ed ultima sezione, “Fiamme Verdi”, presenta come protagonista la stessa sorella di Yeong-hye, In-hye, la maggiore dei tre fratelli. Una donna il cui carattere è sempre stato contraddistinto da una responsabilità derivante da un innato istinto materno, ma una moglie la cui fiducia e sicurezza vengono distrutte da un marito inesistente e fondamentalmente egoista. Una personalità che sembra forte. Un’intera vita che viene costruita e vissuta solo su pilastri di materiale fragile, il cui scricchiolio non viene dapprima sentito, ma che dopo il crollo porta ad un inevitabile stato depressivo.
Come già citato, la connessione del romanzo è proprio Yeong-hye, la prima persona nella famiglia a manifestare problematiche e sin dall’inizio caratterizzata da una frase ricorrente: “Ho fatto un sogno”, che sembra diventare perno del romanzo, dal momento che ricorre nelle vite di tutti i personaggi, ma che forse non è altro la manifestazione inconscia di disagi mentali già esistenti in loro. I sogni di Yeong-hye sono guidati dalla violenza, sono crudi, espliciti e apparentemente la portano ad un iniziale rifiuto dell’assunzione di carne, che ben presto si trasforma in una vera e propria anoressia nervosa aggravata da schizofrenia.
Il lettore così viene accompagnato in un viaggio di puro dolore, che parte dalla non accettazione della famiglia e arriva ad atti di alimentazione forzata da parte del padre e dei medici, e vari episodi di violenza sessuale. Un viaggio che in realtà non ha avuto un inizio, ma che potrebbe avere una fine. Seppur attraverso i personaggi, dalle parole del narratore traspare in modo chiaro che problematiche del genere non nascono improvvisamente o inaspettatamente, ma sono il risultato di una serie di eventi e grovigli mentali che avvengono in modo non voluto. Un flusso di pensieri che è impossibile fermare e soprattutto notare. Grovigli creati dalla nostra stessa mente, ma dai quali sembra che proprio questa voglia proteggerci in qualche modo.
Nel corso della narrazione, Yeong-hye sembra appassionarsi in modo quasi ossessivo ai fiori e al mondo vegetale. Certamente è innegabile che sia causato in parte dal decorso della sua malattia; tuttavia, non si può essere certi che non sia un modo che la sua mente sceglie per proteggerla da tutto il dolore subito. Un ritorno ad un’innocenza ed una purezza perdute, che non si potrebbero recuperare in forma umana. Il rifiuto totale di continuare a vivere una vita, il cui solo scopo sembra quello di farci cadere, ma che non sembra mai essere dalla nostra parte. Il romanzo di Han Kang sembra trascendere da qualsiasi tipo di discorso umano, portando il lettore ad essere uno dei personaggi, a rispecchiarsi inevitabilmente e a farsi un’unica domanda.
È così terribile morire?
(Elisa Montani)

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Rubino님의 댓글

Irene 작성일

Terzo romanzo di Han Kang, premio Nobel per la letteratura nel 2024, “La vegetariana” è, a detta della sua stessa autrice, una trilogia composta da tre novelette: “La vegetariana”, “La macchia mongolica” e “Fiamme verdi”. Il trait d’union di queste tre sezioni è la figura di Yeong-hye, una donna in apparenza ordinaria che a seguito di un sogno truculento compie un gesto inconsulto: decide di buttare via tutti gli alimenti di origine animale stipati in casa e non mangiarne mai più.

La prima parte è affidata alla voce narrante del marito, il signor Cheong, un ometto untuoso e mediocre che vede nella scelta della moglie un atto di ribellione e subito si rivolge alla famiglia di lei per sanzionarla. Yeong-hye descrive in prima persona solo i  propri sogni o ricordi, in corsivo nel racconto.  Nella sezione “La macchia mongolica” l’io narrante è invece quello del cognato di Yeong-hye, il marito della sorella In-hye, che sviluppa una morbosa attrazione nei confronti di Yeong-hye dopo aver appreso che la donna reca ancora sulla pelle del dorso una voglia infantile, una “macchia mongolica” appunto. In “Fiamme verdi” la parola passa alla sorella In-hye, che va a fare visita a Yeong-hye in un ospedale psichiatrico dopo che il suo rifiuto del cibo di origine animale è sfociato in una forma di vera e propria anoressia nervosa e il disagio in psicosi.

Yeong-hye è una protagonista atipica, che non narra ma è narrata. Si definisce in negativo, con l’assenza, il rifiuto, la non-violenza. Sfugge alle convenzioni della società patriarcale: quando la coppia si è appena trasferita in una nuova casa e il marito si sente pronto a diventare padre, Yeong-hye sogna un volto riflesso in una pozza di sangue e decide di smettere di mangiare carne e derivati animali, senza adempiere al suo “destino biologico”.

In un’intervista su “La vegetariana”, Kang ha affermato: “Ho concepito il romanzo come la storia di una persona che nega la sua appartenenza alla specie umana, che rischia la vita per respingere la violenza dell’umanità nel suo estremo isolamento”. Yeong-hye è tormentata da immagini cruente, nei sogni e nei ricordi. E’ figlia di un veterano del Vietnam decorato per aver ucciso sette Viet Cong: una figura che assimila la violenza domestica a quella coloniale e rimanda ai rapporti della Corea del Sud con gli Stati Uniti. Lo “sciopero dalla vita” di Yeong-hye, il suo desiderio di assimilarsi a un vegetale, corrispondono a un rifiuto radicale di ogni tipo di violenza: di genere, abilista, medica, antropocentrica. Fino all’estrema, ineludibile domanda: “Perché, è così terribile morire?”

Han Kang è poeta, prima ancora che scrittrice: la sua prosa lirica è ricca di metafore, malleabile, plasmata minuziosamente sulle forme del pensiero. Scandaglia spietatamente gli abissi della sofferenza umana per raccontare non tanto la brutalità dei vincitori, quanto la fragilità caparbia degli sconfitti. Raggiungendo lo spazio liminale sospeso tra il regno animale e vegetale, il corpo e lo spirito, la vita e la morte.

Irene Rubino

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Pavese님의 댓글

michelep 작성일

La storia di tre persone tormentate, che negli atteggiamenti “irrazionali” di una donna vedono riflessa parte della propria vita e ciò che non riescono a riconoscere come fallimenti.

Le tre diverse esperienze si articolano in un rifiuto della persona ritenuta banale, un tentativo di fare arte attraverso l’impulso sessuale, e l’accettazione e rassegnazione unite alla malinconia del ricordo.

La vegetariana del titolo attira pensieri cattivi, indifferenza, egomania, critiche; genera violenza familiare fisica e psicologica, abuso e violenza sessuale, sensi di colpa.

Quasi un capro espiatorio. Un diverso. Eppure la vegetariana del titolo è, tra tutti, la persona più “pura”.

Han Kang conduce il lettore alla scoperta dei sentimenti attraverso una scrittura sobria, mai volgare né cruda, perfino quando descrive scene di sesso o di violenza, come quella del padre sulla figlia minore o lo stato fisico della protagonista in ospedale.

Lo stile è immediato, morbido, capace di evocare sensazioni con l’estrema semplicità di poche parole, come nelle scene vissute dalle sorelle da bambine o nei ricordi legati al cibo preferito della sorella minore.

Per chi è incuriosito da Han Kang — non per la linguetta sulla copertina dell’edizione Adelphi che pubblicizza il “Premio Nobel”, ma per attrazione verso la letteratura asiatica, coreana, o per il desiderio di approfondire pezzi di storia contemporanea quasi ignorati in Occidente — inizi con La vegetariana; poi, per scoprire il segreto che si cela dietro la sua capacità di descrivere sentimenti e delineare personaggi, prosegua con Atti umani.

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Taverna님의 댓글

jane88 작성일

Scrivere de “La vegetariana” di Han Kang è un percorso difficile ed inerpicato, un viaggio arcaico alla scoperta di demoni assopiti, soprattutto se si è donna, in apparenza libera, figlia di una di quelle società che propaganda ogni giorno l’uguaglianza di genere.
Se poi “La vegetariana” è il primo approccio al Premio Nobel per la Letteratura 2024 allora il turbamento è ancora più completo. Perché la storia di Yeong-hye, giovane moglie che, da un giorno all’altro, apparentemente senza motivo smette di mangiare la carne è un incipit tanto in superficie lontano dalla sensibilità comune quanto potente nel subconscio.
Pagina dopo pagina, strato dopo strato la vita famigliare e personale di Yeong-hye, “la donna più ordinaria del mondo”, va in frantumi restituendo il corpo di una creatura che muta forma e colore, che cambia natura sfidando le sorti della disumanizzazione.
Come in una tragedia greca in tre atti Han Kang osserva lo scorrere del tempo che, incessante, segue la lenta eclisse di una donna che ha deciso di non essere più.
Da moglie incompresa a figlia maltrattata, da involucro vuoto di lussuria a sola presenza di atomi quello di Yeong-hye è il grido lacerante di ogni donna quando si accorge di non essere stata altro che un ruolo: la consorte di qualcuno, la sorella di qualcuno altro, l’amante di un’ideale, la prigioniera di una cultura, un’abitudine, un’usanza, una storia.
“La vegetariana” è una resa di fronte alla realtà, la comprensione che se non esiste un “territorio in cui sei libera di fare come preferisci”, se manca una stanza tutta per sé dove gridare a gran voce la parola “io” allora, forse, si può anche smettere di lottare per affiorare alla coscienza.

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mongiello님의 댓글

a_le 작성일

Immaginiamo di trovarci in mezzo a due sentieri separati, che decorrono paralleli ma che il
passaggio dall’uno all’altro mentre li si percorrono sia facile e molto spesso necessario. Poi, verso
la fine, i due sentieri si uniscono in un unico percorso del quale però non si vede la fine.
In questo modo si potrebbe descrivere la suddivisione in capitoli del libro “La Vegetariana” di Han
Kang, in cui i primi due capitoli vedono la presenza di diversi personaggi, come la protagonista
Yeong-hye, suo marito, i suoi genitori, la sorella e il cognato, mentre l’ultimo vede la quasi
esclusiva presenza della protagonista e di sua sorella.
Nel primo capitolo “La vegetariana” la protagonista viene descritta e raccontata attraverso gli
occhi e le parole del marito, un uomo mediocre, apatico e rassegnato a un prevedibile
conformismo. Di Yeong-hye dice già nella prima frase del libro di averla sempre considerata del
tutto insignificante: vestiva in modo banale, aveva una personalità passiva ed era senza fascino e
raffinatezza. Tutto questo però lo faceva sentire sereno e si sposava perfettamente con l’idea di
vita monotona ma affidabile che lui aveva.
Il matrimonio tra Yeong-hye e suo marito procede quindi tranquillamente fino a quando la donna
più ordinaria del mondo non dice di aver fatto un sogno. I sogni, che verranno spesso citati nel
corso del libro, evidenziano nel primo capitolo il desiderio della protagonista di staccarsi dal
corpo fisico per potersi metaforicamente staccare dalla violenza in tutti i suoi aspetti. Infatti dopo
il primo sogno decide di diventare vegetariana; tuttavia non rifiuta la carne per aderire ad un
regime alimentare, ma bensì per allontanarsi dalla violenza che ha ascoltato, vissuto, subito e
tollerato fin da bambina e che quindi ha interiorizzato al punto tale da temere addirittura che la
sua mano, il piede, la lingua, lo sguardo possano essere delle armi. Ed ecco che nasce in lei il
bisogno di lasciare quel corpo.
Yeong-hye, considerata da tutti come una figlia, una sorella e una moglie ubbidiente e banale,
inizia a prendere forma non come persona che sceglie ma come ostacolo al fluire naturale delle
vite degli altri. Il marito non si preoccupa della salute della moglie perché realmente interessato,
bensì poiché la sua scelta condiziona di rimando anche la sua vita. Il volersi privare della carne,
del reggiseno, del sonno la portano a compiere sempre meno azioni e ad estraniarsi sempre di più
dalla realtà che però, per una strana regola del contrappasso sociale, diventa sempre più
ingombrante per gli altri.
Alla cena di famiglia, ancora una volta la protagonista subisce un atto di violenza da parte del
padre al quale risponde con un atto di violenza verso se stessa. Questo segnerà l’inizio del crollo
psicologico di Yeong-hye che verrà ricoverata subito dopo e rifiutata dal marito che chiederà il
divorzio.
Nel secondo capitolo “La macchia mongolica” emerge un altro rapporto all’apparenza solido ma
che in realtà vive sul filo del rasoio: quello tra la sorella della protagonista, In-hye e suo marito. Lei
imprenditrice realizzata, lui artista inappagato, finiranno per separarsi dopo che In-hye scopre un
video di un rapporto sessuale avvenuto tra suo marito e sua sorella. L’artista infatti sviluppa una
forte attrazione sessuale per il corpo della cognata dopo aver scoperto la presenza di una
macchia mongolica nella parte bassa della sua schiena. La invita pertanto in uno studio, le
dipinge dei fiori sul suo corpo ormai magrissimo e, dopo aver appurato l’eccitazione di Yeong-hye
verso un corpo dipinto di fiori decide di sfruttare questa informazione, farsi dipingere dei fiori
anche sul suo corpo e unirsi alla cognata, immersa nel sogno di trasformarsi in una pianta e
quindi troppo lontana ormai dal mondo reale e concreto che però ancora la circonda.
Dopo la scoperta del video, la protagonista viene nuovamente ricoverata in una clinica mentre il
cognato scappa fisicamente e mentalmente da ogni vergogna e ogni colpa verso sua moglie, suo
figlio e sua cognata. Alla fine di questo capitolo è chiaro uno degli aspetti, a mio avviso più tristi di
tutto il libro, ovvero che tutti vogliono qualcosa da Yeong-hye ma nessuno vuole davvero Yeong-
hye. I due uomini del racconto infatti, il marito e il cognato, entrambi privati dall’autrice del loro
nome ma presenti come archetipi, rappresentano l’uno l’autorità domestica, l’uomo medio della
società patriarcale, e l’altro il controllo e l’ossessione sessuale. Emerge quindi, un chiaro
riferimento alla società in cui viviamo dove l’oggettificazione della donna è ancora un concetto ha
bisogno di essere spiegato, perché per decenni o forse meglio per secoli, é stato considerato
normale e socialmente accettabile.
Ma Yeong-hye si ribella. Quella donna la cui personalità è stata da sempre fraintesa come docile e
remissiva, prende il potere portando avanti l’abbandono del suo corpo fisico, oggetto di desiderio
e quindi di violenza.
Nel terzo e ultimo capitolo “Fiamme Verdi” la protagonista è ricoverata e affianco a lei c’è sua
sorella In-hye, l’unica che abbia realmente provato a comprendere Yeong-hye, e che si sia
interessata a lei senza volere nulla in cambio. Ora la protagonista interrompe definitivamente ogni
contatto con la realtà esterna e immagina di diventare una pianta. Lentamente si trasforma,
immagina di mettere radici, di assorbire i raggi solari e farsi avvolgere da quella natura accogliente
e materna. In questo capitolo, con il rafforzamento del legame tra le due sorelle avviene l’unione
dei due sentieri citati all’inizio: le due sorelle hanno vissuto entrambe violenze ed eventi traumatici
ma reagendo in modi diversi. Se avessero fatto scelte invertite, probabilmente ora sarebbero l’una
al posto dell’altra. In-hye capisce sua sorella e la sua scelta ma non vuole perderla e spera in un
ultimo tentativo di farla tornare alla realtà chiedendole “Hai veramente perso la testa?”. Entrambe
sono in bilico tra realtà e sogno ma l’una si aggrappa alla prima con l’amore materno verso suo
figlio, l’altra sceglie la natura come unica via.
Dal mio punto vista questo è senza dubbio il capitolo più bello: non è una conclusione ma al
contrario può fungere da incipit ad un’altra storia che parla di rinascita e resilienza, di ribellione e
affermazione di sé.
Yeong-hye sogna di diventare una pianta, che sta lì imperturbata dalla pioggia, dal vento e dal
sole, che resiste agli agenti atmosferici come lei ha resistito agli atti violenti di chi la circondava,
che perde le foglie ma poi rinasce in primavera come lei ha perso il suo corpo per rinascere nella
natura, perché se davvero le piante sopportano tutti i cambiamenti e gli eventi climatici e
rimangono lì ad aspettare la bella stagione per rifiorire, allora certamente Yeong-hye una pianta lo è sempre stata.

A. Mongiello